CARLO SARNO
LE FIABE DELLA MONTAGNA
E’ questa una raccolta di fiabe per
bambini, fiabe semplici che parlano di cose semplici . Un mondo bambino per
bambini , dove l’unica realtà è quella che tutti i bambini conoscono : una
realtà di affetti e sentimenti dove anche le cose materiali si animano come
interpreti unici di storie.
C’era una
volta…
tanto tanto
tempo fa…
ma così
tanto tempo fa che nessuno si ricorda…
Soltanto un
uomo molto vecchio con la barba bianca che abita su una grande montagna si
ricorda di queste storie…
Un giorno
alcuni bambini si persero sulla grande montagna… ed il vecchio con la barba
bianca corse in loro aiuto prima che facesse notte e li ospitò nella sua casa…
la sera li
fece cenare abbondantemente e poi si riunirono tutti intorno al fuoco del
camino…
fu allora
che "il vecchio della montagna" decise di raccontare loro queste storie :
LA STORIA
DELLA NUVOLA AMICA…
C’era una volta una nuvola
che non voleva fare la pioggia. Le altre nuvole gli dicevano che era importante
che facesse la pioggia perché serviva alla terra per far crescere le piante,
agli animali per bere ed anche agli uomini ed ai bambini. Ma la nuvola
continuava a non voler fare la pioggia.
Un giorno in un regno molto
lontano giunse una grande siccità: il re di questo regno era disperato e non
sapeva come fare per aiutare il suo popolo. La terra era asciutta e le piante
stavano tutte seccando, gli animali non avevano più l’erba da mangiare e le
mucche non producevano più latte. Anche l’acqua per bere cominciava a
scarseggiare.
Il re decise allora di andare
personalmente a cercare la pioggia per il suo regno e preso il suo cavallo partì
al galoppo. Viaggiò per giorni e giorni senza trovare la pioggia. Poi finalmente
vide una nuvola e tutto felice si diresse verso la nuvola. Appena fu arrivato
sotto la nuvola il re guardando in alto disse: Aiutami nuvola, il mio regno ha
bisogno della pioggia, solo tu puoi salvarci.
Ma la nuvola che il re aveva
incontrato era proprio quella che non voleva fare la pioggia. La nuvola infatti
rispose: Salve re, io sono una nuvola che non fa la pioggia non ti posso
aiutare.
A quelle parole il re cadde
in ginocchio disperato e cominciò a piangere. Ormai erano molti giorni che era
lontano dal suo regno e se non riusciva al più presto a trovare la pioggia il
suo regno sarebbe rimasto abbandonato, senza nessuno.
La nuvola si commosse a
vedere il re piangere e allora esclamò: Ma allora è vero che la terra e gli
uomini hanno bisogno della pioggia, ed io che fino ad ora sono stata così
stupida e avara da non capire che avevano bisogno di me e della mia pioggia!
Poi rivolgendosi al re disse:
Non temere buon re, io ti aiuterò, da ora in poi farò sempre la pioggia e, anzi,
poiché da sola non posso far piovere su tutto il tuo regno chiamerò in aiuto le
altre nuvole ed io non lascerò mai più il tuo regno.
Il re e la nuvola si
diressero velocemente verso il regno seguiti da una moltitudine di nuvole ed in
breve tempo la siccità fu cacciata dal regno e nessuno abbandonò più il regno
del buon re.
Anche la nuvola rimase sempre
con il re e fu così che fu chiamato il regno della nuvola amica.
GIACOMINO
PANE E VINO …
C’era una volta , in un
piccolo paese di campagna , un bambino che non voleva mai mangiare e che si
chiamava Giacomino . I genitori erano disperati perché il loro figlioletto
diventava sempre più magro e anche il dottore di famiglia aveva detto che se
continuava così poteva anche ammalarsi gravemente se non addirittura morire .
Un giorno , mentre la mamma
piangeva pensando che Giacomino poteva morire , passò davanti casa un vecchio
contadino , il quale si fermò incuriosito e chiese : come mai piangete signora ?
La mamma gli spiegò il
pericolo in cui stava il proprio bambino . Allora il vecchio contadino disse che
la poteva aiutare e che Giacomino poteva guarire , se però lei avesse avuto
fiducia in lui .
Fu così che Giacomino andò ad
abitare nella casa del vecchio contadino . Il primo giorno il bambino continuò a
non voler mangiare ed il vecchio contadino non disse niente .
Il giorno dopo Giacomino
chiese se c‘era qualcosa da mangiare e il contadino rispose che lui era povero
ed aveva solo un po’ di pane e un po’ di vino .Ma Giacomino disse che non gli
piaceva questo cibo e non lo voleva mangiare . Il terzo giorno il vecchio
contadino disse che doveva andare via per un po’ di tempo e che gli lasciava sul
tavolo un piccolo pezzo di pane e un piccolo bicchiere di vino .
Il tempo passava, il vecchio
non tornava e Giacomino iniziava a preoccuparsi. Iniziò a piangere pensando
che era lontano dal papà e dalla mamma, che erano diversi giorni che non
mangiava e che per sfamarsi aveva solo un poco di pane e vino e che se il
vecchio contadino non tornava presto sarebbe potuto anche morire di fame. In
lacrime decise di assaggiare il cibo lasciatogli dal vecchio e tanta fu la fame
che finì tutto il pane e il vino, e poi si addormentò.
Il giorno dopo il vecchio
contadino non tornò però sul tavolo Giacomino al suo risveglio aveva trovato di
nuovo un pezzo di pane ed un poco di vino e poiché non c’era altro da mangiare
si sfamò con quello che aveva trovato sul tavolo. Tutto questo si ripeté per un
mese e Giacomino continuò a mangiare pane e vino in attesa che tornasse il
vecchio contadino e poter così ritornare dai suoi genitori. Ora Giacomino aveva
capito che non doveva far dispiacere i suoi genitori facendo i capricci con il
mangiare ed era pronto a dimostrare loro tutto il suo affetto.
Finalmente il vecchio
contadino tornò e decise di riaccompagnarlo a casa. Non appena i genitori lo
videro gli corsero incontro e abbracciatolo lo condussero in casa salutando e
ringraziando il vecchio contadino.
Quando furono a tavola
Giacomino non fece nessun capriccio e mangiò tutto quello che la mamma gli aveva
cucinato e inoltre dopo pranzo Giacomino chiese pure un po’ di pane e un po’ di
vino.
Felici i genitori
abbracciarono Giacomino e da allora decisero di chiamarlo Giacomino pane e vino.
UNA
CASA AZZURRA …
C’era una volta un piccolo paese dove le case erano tutte di colore giallo e con
il tetto rosso. Un giorno venne ad abitare in questo paese un uomo venuto da
lontano. Quest’uomo si chiamava Calogero e aveva con se un cagnolino . Dopo
aver girato per il paese decise di andare ad abitare in riva al fiume, poco
distante dalle altre case. Calogero chiese il permesso al vecchio capo del
paesino, ed egli acconsentì alla sua richiesta.
Mentre costruiva la sua casa il suo cagnolino girovagava per il piccolo paese e
fece amicizia con tutti i cani della zona. Spesso tornava dal suo padrone in
compagnia di altri cani e Calogero dava da mangiare a tutti.
Dopo un po’ di tempo finalmente la casa fu completata e mancava solo il colore :
Calogero decise allora di dipingerla con il colore azzurro in ricordo dell’acqua
del fiume che scorreva e del bel cielo azzurro che si poteva contemplare dalla
sua casa.
Non
appena ebbe finito di dipingere di azzurro la sua casa tutte le persone del
piccolo paese andarono dal capo della città per protestare contro Calogero
perché aveva dipinto di azzurro la sua casa mentre tutte le altre case del paese
erano gialle e, quindi, volevano che anche il nuovo arrivato dipingesse di
giallo la sua abitazione.
Il
capo della città andò da Calogero per convincerlo a cambiare colore e Calogero
rispose che se doveva cambiare colore alla sua casa se ne sarebbe andato in un
altro paese. Il capo della città insistette insieme ad altre persone e così
Calogero prese il suo cagnolino e se ne andò.
Intanto, poiché il suo cagnolino aveva fatto amicizia con tutti i cani del paese
e lui era stato buono con tutti loro dandogli da mangiare, tutti i cani li
seguirono.
Quando nel piccolo paese si accorsero che tutti i cani erano andati via e
seguivano Calogero con il suo cane allora capirono che avevano sbagliato a
costringere il nuovo arrivato ad andarsene perché tutti cani gli volevano bene.
Fu
così che il capo della città richiamò Calogero e il suo cagnolino a vivere nel
piccolo paese senza più pretendere che la sua casa fosse dipinta di giallo :
aveva capito che è più importante avere nel paese un uomo buono come Calogero
con il suo cagnolino ed una casa azzurra che, piuttosto, una casa gialla
disabitata in un paese senza cani.
LA SCARPA STRETTA …
C’era una volta un bambino di nome Vincenzo che era molto povero e non aveva le
scarpe.
Un
giorno Vincenzo incontrò un calzolaio e chiese se poteva regalargli un paio di
scarpe. Vincenzo disse : Per piacere buon calzolaio puoi darmi un paio di
scarpine? …anche se sono rotte andranno bene lo stesso perché tra poco viene
l’inverno e fa molto freddo ed io ho paura che mi si gelano i piedi.
Il
calzolaio si commosse e disse: Ho tutte scarpe grandi ed un solo paio di scarpe
piccole, però sono troppo piccole per te, se però ti accontenti te le darò.
Vincenzo ringraziò il calzolaio e se ne andò con il paio di scarpe. Quando trovò
una sedia si sedette e provò a mettersi le scarpe, ma non ci riuscì perché erano
troppo strette. Vincenzo allora cominciò a piangere, infatti ora che gli avevano
regalato un paio di scarpe erano troppo strette per lui.
La
scarpa sentì il pianto di Vincenzo e disse: Non ti disperare.
Vincenzo si girò intorno per vedere chi aveva parlato, ma non vide nessuno.
Allora la scarpa disse: Sono io, la tua scarpa stretta, che ho parlato, non ti
preoccupare conosco un modo per allargare le scarpe, devi soltanto fare ciò che
ti dico.
Vincenzo disse: Che cosa debbo fare per allargare le scarpe prima dell’inverno?
La
scarpa rispose: Prendi le due scarpe che ti ha regalato il calzolaio e mettile
nell’olio, poi dopo tre giorni prendile e riempile di fiori; quando saranno
asciutte potrai metterti le scarpe perché si saranno allargate.
Vincenzo fece come gli aveva detto la scarpa, le mise prima nell’olio e poi le
riempì di fiori e le portò al sole ad asciugare. Le scarpe si allungarono come
aveva detto la scarpa e Vincenzo decise che mai più avrebbe lasciato le sue
scarpe e che anche se il suo piede fosse cresciuto avrebbe sempre rimesso le
scarpe nell’olio e le avrebbe fatto allungare perché ormai le sue scarpe a cui
si era affezionato non le avrebbe mai più lasciate.
IL
GATTINO GRIGIO CON GLI OCCHI DORATI …
C’era una volta, in una valle profonda tra alte montagne e cime innevate, un
gattino grigio nato con gli occhi dorati.
All’inizio nessuno se n’era accorto, poi in un paese della valle alcuni ragazzi
si accorsero che aveva gli occhi fatti di oro e decisero di dargli la caccia,
ucciderlo, e vendere gli occhi d’oro del gattino e fare così molti soldi.
Per
fortuna il gattino grigio si accorse delle cattive intenzioni dei ragazzi e
scappò via , rifugiandosi nella foresta. Purtroppo il gattino era piccolo e non
conosceva i sentieri della foresta: fu così che ben presto si ritrovò in un
posto sconosciuto. Ora era al sicuro dai ragazzi però chi lo avrebbe difeso
dalle insidie della foresta? Proprio mentre rifletteva su queste cose il gattino
grigio si accorse che cominciava a fare buio e decise di trovarsi un riparo per
la notte. Si girò intorno e scorse una luce lontana, e poiché era quasi buio si
diresse verso la piccola luce.
Man
mano che si avvicinava si rese conto che quella luce diventava sempre più
grande, e alla fine uscì dalla foresta entrando in una pianura con pochi alberi
e con al centro una grande caverna da cui si irradiava la luce che aveva visto
da lontano e che ora era divenuta accecante per il suo splendore.
Il
gattino grigio ebbe paura di entrare nella caverna e decise di passare la notte
nella pianura antistante. Il gattino ripensò alla dura giornata trascorsa
fuggendo ed al triste destino che lo attendeva: quello di rischiare
continuamente la sua vita a causa dei suoi preziosi occhi dorati. Dovunque
sarebbe andato avrebbero cercato sempre di prendere i suoi occhi d’oro. Poi la
stanchezza lo vinse e si addormentò.
Il
mattino dopo decise di entrare nella caverna dorata e speditamente si avviò
verso l’entrata. Avvicinandosi si accorse che la caverna era gigantesca e che al
suo interno c’erano monti, valli, fiumi, laghi e paesi. Il gattino grigio una
volta entrato si diresse verso il primo paesino, e subito notò che gli abitanti
avevano gli occhi come lui, dorati, e anche gli animali del posto.
Arrivato sulla piazza del paesino chiese dove si trovava e come si chiamava quel
bel paesino, ma non riuscì a terminare la domanda che subito spuntarono
centinaia di gatti con gli occhi dorati accorsi per vederlo. Il gattino rimase
meravigliato poi, ad un certo punto, i gatti lasciarono passare una gatta la
quale corse verso di lui e mentre lo leccava con amore disse: finalmente sei
tornato, io sono la tua mamma, ti avevamo perduto perché mentre ero distratta tu
uscisti dalla caverna e non potei più cercarti perché la legge del nostro paese
vieta di uscire dalla caverna dorata, ho pregato tanto perché tu tornassi ed ora
finalmente sei qui!
Il
gattino grigio allora capì che era tornato a casa e che non avrebbe più dovuto
temere per la sua vita . Leccò anche lui la sua mamma ed insieme tornarono a
casa , dove li attendeva il buon papà.
LA STORIA PICCOLA …
C’era una volta un fiore che si chiamava Piccolo. Tutti lo prendevano in giro
perché si chiamava Piccolo ed ormai aveva deciso di andarsene in un altro luogo.
Un
giorno una bambina si avvicinò a lui e gli raccontò una bella storia, tutti si
avvicinarono per ascoltare e alla fine la chiamarono la storia di Piccolo. Il
fiore Piccolo fu contento che avevano chiamato la storia come lui e fu così che
decise di non andarsene più.
UNA BAMBINA DI NOME AGNESE …
C’era una volta, in un paese molto lontano del continente africano , una bambina
di nome Agnese. Tutti le volevano bene e la sua tribù era molto felice di avere
con sé una bambina così brava, bella e buona.
La
figlia del capo tribù, Leisla, era gelosa di Agnese e decise di fare di tutto
per farla allontanare dal villaggio. La accusò perciò falsamente dicendo che si
era preso i suoi vestiti e che poiché era una ladra Agnese doveva andarsene via
per non essere di cattivo esempio per le altre bambine.
Agnese disse che non era vero, che l’accusa di Leisla era falsa, ma non riuscì a
convincere la tribù perché nella sua capanna furono trovati i vestiti della
figlia del capo tribù, messi lì con l’inganno e a sua insaputa da Leisla.
Agnese piangendo dovette lasciare il villaggio che amava tanto e andarsene senza
una direzione precisa nella foresta circostante.
La
sera si riparò in un tronco di un grande albero e poi il giorno dopo continuò a
camminare. Ormai già pensava che non avrebbe più rivisto il suo villaggio.
Ad
un tratto , mentre sconsolata era seduta su di una grande pietra, sentì una voce
come un tuono che le diceva: ciao, piccola bambina, come mai stai seduta su di
me con aria così afflitta?
La
bambina si girò intorno cercando di vedere qualcuno, ma non vide nessuno. Di
nuovo senti ripetere la stessa domanda: Come mai stai seduta su di me con aria
così afflitta?
Agnese capì allora che era la grande pietra su cui era seduta a parlare, e
allora le fece una carezza con dolcezza, poi gli spiegò tutta la sua sfortunata
storia. La grande pietra decise allora di aiutarla e le disse: Torna al
villaggio, non avere paura perché le persone della tua tribù ti vogliono ancora
molto bene e sono tutti dispiaciuti che te ne sei dovuta andare, digli che se si
vogliono salvare debbono spostare il loro villaggio perché ben presto ci sarà
una grande frana.
Agnese tornò al villaggio di corsa e stanca e affamata chiamò tutta la sua tribù
e disse loro tutto quello che la grande pietra gli aveva detto. Intervenne
allora Leisla dicendo che era una bugiarda e che lo diceva per poter ritornare,
disse anche che lei non ci credeva e che sarebbe rimasta nella sua capanna per
provare la falsità di Agnese. La tribù invece credé alla preoccupata Agnese e
si spostarono con le loro capanne prima della sera. Quella notte stessa giunse
la frana e travolse la capanna della cattiva Leisla. La tribù ringraziò Agnese
scusandosi di aver creduto alle false accuse di Leisla, e decisero per farsi
perdonare da lei di costruirle la più bella capanna del villaggio.
CARMELA
…
C’era una volta , al centro del mare, un’isola che si chiamava Carmela. Era
un’isola piccola però molto bella e piena di piante da frutto. Su quest’isola
non ci abitava nessuno.
Un
giorno una nave che passava vicino all’isola fu colpita da una furiosa tempesta
e naufragò sull’isola Carmela. Di questa nave si salvò fortunatamente il
capitano e, come si fu ripreso dallo spavento , scese subito sulla spiaggia in
cerca di qualcuno o qualcosa.
Ben
presto si rese conto di essere solo e fu preso dallo sconforto. Mentre volgeva
lo sguardo intorno una voce gli disse : Non ti preoccupare, io sono qui per
salvarti, forse un giorno anche tu potrai salvarmi, però di più non posso dire.
Il
capitano da quel momento non ebbe più paura di restare solo sull’isola , anzi
decise di scoprire la provenienza di quella voce misteriosa.
I
giorni passavano ed il capitano iniziò ad affezionarsi alla sua isola
salvatrice. Infatti non gli mancava nulla, frutta a volontà, pesci in grande
quantità, ed una dolce aria che sembrava accarezzargli il volto.
Passato più di un mese cominciò a conversare con l’isola, come se fosse una
bella e giovane donna. Più il tempo passava e più si rese conto il capitano che
ora era felice di essere naufragato su quest’isola, che non poteva avere una
sorte migliore di quella, che ormai amava la sua isola come la sua vita.
Un
giorno, di primo mattino, si affacciò sul panorama dell’isola , gridando a gran
voce che amava la sua isola e chinandosi la baciò. A quel punto apparve una
bella e giovane donna e, mentre meravigliato il capitano la guardava, così
parlò: Io sono colei che ti parlò quando arrivasti pieno di sconforto su quest’isola,
io mi chiamo Carmela e sono una principessa di un regno molto antico, un
incantesimo mi teneva legata a quest’isola ma ora tu, con il tuo amore, mi hai
salvata.
Il
capitano l’abbracciò e la baciò con lo stesso amore con cui aveva baciato
l’isola, e le disse che per lui lei era preziosa come la sua vita. Anche Carmela
durante il tempo che il capitano viveva sull’isola , conoscendolo bene, si era
innamorata di lui e dei suoi buoni sentimenti.
Decisero allora il capitano e la principessa Carmela di vivere insieme sulla
loro amata isola e di non lasciarla mai più e che avrebbero ospitato sull’isola
Carmela soltanto coloro che si amavano come loro.
IL CHICCO D’UVA …
C’era una volta, in un paese lontano lontano, un bel castello. In questo
castello viveva un re, una regina, ed un principino. Il principino non voleva
mai uscire dal castello perché diceva che tutto ciò che si trovava fuori dal
castello non gli piaceva. Il re e la regina erano molto addolorati per questo,
però non riuscivano a convincerlo ad uscire fuori dalle mura.
Un
giorno, mentre il principino giocava con il suo cagnolino, il ponte levatoio e
la porta del castello erano aperte, e così accadde che il cagnolino scappò fuori
dalle mura , per le terre circostanti. Il principino vedendo uscire il cagnolino
per rincorrerlo e prenderlo decise di uscire anche lui.
Ma
il cagnolino era molto veloce e così inutilmente il principino tento di
inseguirlo. Stanco, quando ormai era quasi sera, si sedette per terra in una
vigna, sconsolato.
Ad
un certo momento sentì una voce che lo chiamava: Principino…principino…
Si
girò intorno ma non vide nessuno. Di nuovo si sentì chiamare e di nuovo non vide
nessuno. La terza volta la voce disse: Principino sono quassù … guarda in alto!
Il
principino volse lo sguardo in alto e vide un bel grappolo d’uva. La voce
ripresa a parlare: Sono un chicco d’uva di questo bel grappolo, se hai fame puoi
mangiare quanti grappoli vuoi.
Il
principino disse che lui non mangiava niente dei frutti di fuori al castello
perché non gli piacevano. Al secondo giorno però iniziò ad avere fame ed il
terzo giorno si decise ad assaggiare un grappolo d’uva. Ben presto si accorse
che era buona e decise di mangiarne in attesa del ritorno del suo cagnolino.
Intanto il cagnolino, correndo correndo, era tornato al castello , ed il re e la
regina preoccupati decisero di prendere i loro cavalli e al galoppo partirono
alla ricerca del loro caro principino.
Che
sorpresa fu per loro vederlo tutto allegro nella vigna, di buona salute, mentre
mangiava un bel grappolo d’uva.
Allora il principino parlò e disse che non solo i frutti del castello erano
buoni, ma anche i frutti delle terre circostanti fuori al castello. Disse anche
che da allora in poi gli piaceva tutto, dentro o fuori del castello, e che si
sarebbe portato con lui un chicco d’uva .
Il
re gli chiese che cosa doveva fare con quel chicco ed il principino rispose che
lo avrebbe piantato sulla porta del castello e che una volta cresciuta la pianta
avrebbe fatto crescere due rami, uno verso l’interno del castello ed uno verso
l’esterno, per ricordare a tutti che tutte le cose sono buone.
IL SERPENTE ROSSO …
C’era una volta , in una grande pianura un serpente di colore giallo. Tutti gli
altri serpenti della pianura , che erano di colore marrone, lo trattavano male e
lo prendevano in giro.
Il
serpente giallo decise allora di andarsene, alla ricerca di altri serpenti come
lui. Ma strisciava e strisciava, e non trovava nessun altro serpente come lui.
Un
bel giorno passò attraverso la casa di un pittore e per distrazione cadde nel
bidone con il colore rosso. Quando riuscì ad uscire dal bidone si andò a
guardare allo specchio e si accorse che era diventato tutto rosso. Sembrava
veramente il serpente cattivo che si mangiava tutti i serpenti marroni. Decise
allora di ritornare nella grande pianura.
Come i serpenti marroni lo videro subito corsero a nascondersi. Il serpente
giallo divenuto rosso con la pittura disse che se tra loro non c’era per lo
meno un serpente giallo avrebbe mangiato tutti i serpenti marroni della pianura.
Allora i serpenti marroni risposero che non c’erano serpenti gialli tra loro, ma
il serpente rosso ribadì che se tornava un’altra volta e non trovava un serpente
giallo tra loro li avrebbe mangiati tutti. Detto questo se ne andò.
Impauriti i serpenti marroni capirono che avevano sbagliato a far andare via il
serpente giallo e decisero che sarebbero andati a cercarlo.
Nel
frattempo il serpente rosso strisciò dal pittore e gli chiese un po’ di
acquaragia per togliersi la pittura che lo ricopriva e tornare ad essere giallo.
Il pittore divertito gli dette l’acquaragia che occorreva. Poi il serpente
ritornato giallo subito si diresse verso la grande pianura,
Come lo videro i serpenti marroni subito gli strisciarono vicino, si scusarono
con lui e dopo avergli raccontato terrorizzati il pauroso incontro con il
serpente rosso gli chiesero di restare con loro.
Il
serpente giallo disse che li aveva perdonato e che quindi sarebbe rimasto con
loro nella grande pianura , in modo che mai più sarebbe ritornato il tremendo
serpente rosso.
IL MARTELLO D’ORO …
C’era una volta, in un paese lontano una grande caverna, ed in questa caverna
poggiato su di una roccia un martello d’oro.
Un
giorno, in un villaggio nei pressi della caverna giunse un drago cattivo che
minacciò tutti i bambini dicendo che li avrebbe mangiati tutti. I genitori non
sapevano cosa fare e gia si disperavano. Ad un certo punto un bambino di nome
Erec si fece avanti dicendo che voleva tentare di combattere il drago. Dapprima
le persone adulte non volevano, però Erec insisté dicendo che comunque era
destinato ad essere mangiato, tanto valeva che lo lasciassero tentare. Fu così
che da solo Erec si incamminò nella sua difficile impresa. Prima di uscire dal
villaggio andò a trovare il vecchio con la barba bianca per avere qualche
consiglio, ed il vecchio gli suggerì di recarsi nella grande caverna vicina e di
chiedere l’aiuto del martello d’oro perché forse poteva aiutarlo.
Di
corsa entrò nella caverna senza temere per l’oscurità, ma appena varcò la soglia
fu aggredito da un grande leone che lo spinse a terra tentando di sbranarlo.
Mentre ormai Erec pensava che era giunta la sua fine, dall’oscurità un martello
d’oro venne fuori colpendo alla testa il leone il quale cadde anche lui a terra
stordito.
Mentre Erec si rialzava meravigliato per l’accaduto una voce gli disse che ora
doveva accarezzare il leone per dimostrare il suo coraggio. Erec senza esitare
accarezzò il leone il quale si rialzò con uno sguardo amichevole. Poi si girò in
tutte le direzioni alla ricerca della provenienza della voce ma vide soltanto un
martello d’oro su di una grande roccia. Di nuovo la voce parlò e gli disse che
era il martello che parlava e gli chiese cosa volesse da lui e perché era
entrato impavido nella caverna.
Erec raccontò del suo villaggio e del pericolo del drago che voleva mangiarsi
tutti i bambini.
Il
martello d’oro a sentire il suo racconto si arrabbiò molto contro il drago
perché voleva fare una azione cattiva e gli disse che lo avrebbe aiutato. Erec
gli chiese come poteva aiutarlo visto che era piccolo ed il drago grande. Il
martello d’oro replicò che lui quando si arrabbiava iniziava a martellare la
grande roccia su cui stava, e ad ogni colpo che dava sulla roccia diveniva
sempre più grande e più forte.
Boom…boom…boooomm….booooommm…..il martello divenne enorme e dovette uscire dalla
caverna per poter crescere ancora come una montagna. Dal villaggio sentivano il
rumore del martello sulla roccia e impauriti credevano che era il drago che
arrivava. Il drago anche lui sentì il rumore e non ebbe nemmeno il tempo di
capire da dove partiva quel terrificante suono che si trovò di fronte il
martello d’oro divenuto gigante.
Il
martello d’oro disse al drago che se continuava a fare il cattivo lo avrebbe
schiacciato come una foglia con un colpo solo. Il drago terrorizzato per la
paura divenne bianco e chiese perdono ai bambini del villaggio, dicendo che era
diventato cattivo perché nessuno voleva mai giocare con lui . I bambini ebbero
pietà del drago divenuto bianco e lo perdonarono dicendogli che avrebbero
giocato con lui e vissero tutti felici e contenti.
IL
FOLLETTO PUNGIGLIONE
C’era una volta un pungiglione molto grande, più grande di un elefante. Tutti
avevano paura del pungiglione e nessuno si avvicinava alla sua punta, la quale
era così appuntita che si diceva capace di colpire una ciglia di mosca.
Il
pungiglione grande a causa del timore che incuteva non aveva amici e spesso si
lamentava per la sua solitudine.
Un
giorno gli si avvicinò un folletto. Il pungiglione gli chiese come mai non
avesse paura di lui ed egli rispose che non vedeva perché doveva avere paura,
visto che lui non aveva mai fatto niente di male al pungiglione ed anzi per
dimostrarglielo decise di fargli una carezza.
Il
pungiglione rimase meravigliato da tutto ciò, ed ancora più rimase meravigliato
quando il folletto gli disse che se non gli dispiaceva avrebbero potuto anche
abitare insieme. C’era però un solo problema: che la casa del folletto era
piccola e non poteva ospitare il grande pungiglione. Il folletto allora si
ricordò che sua mamma per stringere i maglioni di lana usava l’acqua della
cascata d’oro e decise, d’accordo con il pungiglione, di provare.
Il
folletto prese un secchio d’acqua dalla cascata e lo portò vicino al
pungiglione. Sorse però un problema: come fare entrare un pungiglione così
grande in un secchio così piccolo? (questo è il famoso indovinello del folletto
pungiglione).
Dopo molto pensare e dopo che il pungiglione grande era diventato molto triste
finalmente il folletto trovò la soluzione e disse : “ Inizia a mettere nel
secchio la punta e, man mano che si restringe continua a mettere nel secchio
altra parte del tuo grande pungiglione, vedrai che alla fine ci riusciremo a
farti diventare piccolo e così potrai abitare con me”.
Il
pungiglione grande seguì le istruzioni del folletto e a poco a poco a partire
dalla punta divenne sempre più piccolo, fin quando riuscì ad entrare tutto nel
secchio. Il folletto allora prese il pungiglione e lo infilò sul suo cappello
sotto la piuma poi, cantando per la gioia, allegramente i due nuovi amici
andarono verso la casa del folletto e non si lasciarono più.
IL PASSEROTTO FINTO …
C’era una volta un passerotto molto orgoglioso che si vantava sempre con tutti
di essere il più bello ed il più bravo di tutti nel cinguettare. La sua
presunzione arrivò a tal punto che non rivolgeva più la parola ai suoi amici
perché li riteneva esseri inferiori.
Un
giorno, sotto l’albero dove stava riposando, si trovò a passare una vecchietta a
cui cadde il fazzoletto; essendo anziana e con il mal di schiena e non potendosi
chinare per raccoglierlo, vedendo il bel passerotto sul ramo gli chiese di
aiutarla. Ma il passerotto rispose che non aveva tempo e non voleva essere
disturbato. All’improvviso, dopo il suo comportamento scortese, la vecchietta si
trasformò nell’angelo degli uccellini e rivolgendosi al passerotto gli disse che
sarebbe diventato finto, di stoffa, a causa della sua cattiveria e che soltanto
quando qualcuno, pur vedendolo finto, gli avrebbe costruito una casetta sarebbe
ritornato vero e avrebbe potuto di nuovo cantare.
Il
passerotto cadde istantaneamente dal ramo e ruzzolò per terra diventando finto.
Passarono giorni e giorni e la pioggia e il fango lo resero sporco e brutto. Un
giorno il pallone di due bambini che giocavano andò a finire proprio vicino al
passerotto divenuto finto. Uno di loro vedendolo disse che era così brutto il
passerotto che non valeva la pena di raccoglierlo, ma l’altro, il più piccolo,
disse che lo avrebbe raccolto lui e che lo avrebbe fatto vedere alla sua mamma
sperando di poterlo pulire.
Tornato a casa il bambino mostrò il brutto passerotto finto alla mamma , la
quale gli promise che avrebbe fatto di tutto per farlo ridiventare nuovo e
bello. Insieme la mamma e il bambino lavarono il passerotto con acqua e sapone e
ritornò come nuovo. Il bambino decise così di conservarlo tra i suoi giocattoli.
Un bel giorno, guardando un libro di uccelli, vide che tutti i volatili aveva un
nido e fu così che decise di fare una casetta per il suo passerotto di stoffa.
Si impegnò tutto il pomeriggio per fare la casetta al suo passerotto ma, prima
di sera, ci riuscì. Stanco per il lavoro mise il passerotto finto nella nuova
casetta e dopo aver dato la buonanotte ai suoi genitori si addormentò.
La
mattina quale sorpresa quando vide che il suo passerotto era tornato vivo e che
cinguettava in maniera meravigliosa. Il passerotto per gratitudine decise di
restare con il bambino e di svegliarlo sempre la mattina con il suo bel canto e
divenne anche il passerotto più amato del paese.
LA
ROSA D’ORO …
C’era una volta, tanto tempo fa , una rosa d’oro. A causa della sua bellezza e
del suo valore tutti la volevano. La rosa d’oro aveva paura che qualche persona
cattiva la prendesse e chiese aiuto al suo amico scoiattolo. Lo scoiattolo disse
che lui non conosceva persone adatte per aiutarlo ma che avrebbe chiesto alla
sua amica gallina che abitava nel castello del re. Mentre lo scoiattolo andava
al castello giunsero dei cavalieri cattivi che decisero di prendere la rosa
d’oro. Il loro capo era Brodok, un cavaliere forte e feroce. Ordinò prima ad un
altro cavaliere di prendere la rosa, ma questi si fece male con le spine d’oro e
non riuscì a prenderla; allora Brodok prese la sua spada e colpi una prima volta
la rosa d’oro, piegandola ma non tagliandola, allora la rosa d’oro parlò dicendo
ai cavalieri che se la tagliavano sarebbe diventata nera come il carbone e che
quindi dovevano prenderla con tutte le radici scavando intorno; mentre i
cavalieri perdevano così il tempo lo scoiattolo giunse al castello , parlò con
la gallina coccodé la quale lo condusse dal principino Cherchir il quale fu
entusiasta e decise di andare subito a salvare la rosa d’oro. Il vecchio
sacerdote di corte vedendolo pronto ad uscire sul suo cavallo gli chiese dove
andava e prevedendo pericoli decise di dargli tre ampolle con un liquido
diverso, rosso, giallo e blu. Una goccia rossa avrebbe acceso un grande fuoco,
una gialla avrebbe fatto uscire milioni di cavallette dal terreno, ed infine
una goccia blu avrebbe fatto piovere abbondantemente. Il principino con lo
scoiattolo vide da lontano i cavalieri intorno alla rosa e decise di andare loro
incontro con l’ampolla gialla mentre la sciò allo scoiattolo le altre due
ampolle dicendo di tenersi pronto. Il principino affrontò i cavaliere e fece
cadere a terra una goccia gialla ma le cavallette furono fermate dalle armature
che furono chiuse rapidamente dai cavalieri, poi il principe fu preso e con la
mano davanti alla bocca non poteva dire allo scoiattolo quale goccia far cadere
per prima. Fortunatamente lo scoiattolo prese la rossa ed il gran fuoco bruciò
le armature dei cavalieri i quali chiesero pietà al principino il quale, dopo
aver preso con delicatezza la rosa d'oro decise di aiutarli con l'ultima goccia
blu e così spense il fuoco. I cavalieri lo ringraziarono dicendo che veramente
era il figlio del re perché era buono e leale e decisero da alllora di difendere
la rosa d’oro. Il principino salutò con la rosa lo scoiattolo e tornò al
castello insieme ai dieci cavalieri che da allora si chiamarono i dieci
cavalieri della rosa d’oro che valorosamente difesero sempre la rosa che fu
piantata nel giardino del principino che una volta divenuto re fu chiamato il re
della rosa d’oro..
IL
VERME BUONO …
C’era una volta un albero e un fiore che abitavano nello stesso un giardino. Un
giorno decisero di collegarsi con una corda perché erano molto amici, ma la
corda che avevano per poco era più corta e non riuscirono ad unirsi. Disperati,
dopo molti tentativi, stavano già per abbandonare la loro impresa quando venne
loro in aiuto un verme uscendo dal terreno e dicendo che lui li avrebbe aiutati.
Il verme si unì alla corda ed insieme riuscirono a collegare l’albero e il
fiore. E da allora vissero sempre uniti e felici l’albero il fiore ed il buon
verme.
LA GEMMA D’ORO …
C’era una volta in un paese lontano una gemma d’oro che però nessuno sapeva dove
stava. Un giorno il re decise di far cercare la gemma d’oro perché se l’avesse
trovata una persona cattiva con la gemma d’oro sarebbe divenuto molto potente e
pericoloso per la pace del regno.
Tre
persone decisero di cercarla: uno era Cocir cattivo e che voleva la gemma per
divenire potente e che teneva un cavallo nero; un altro era Marduc che voleva
portare la gemma ad un altro re di un altro regno e che aveva un cavallo rosso e
infine Erec che era cavaliere del re buono e che aveva un cavallo bianco e che
cercava veramente la gemma per il suo re.
Erec prima di partire andò da un suo vecchio amico chiedendo consiglio ed egli
gli dette tre cose : una corda, un uccellino ed un sacco da aprire in caso di
pericolo.
La
gemma d’oro si trovava in una grotta sottostante una grotta più grande e non
aveva scale ma ci si poteva entrare solo calandosi con una corda. Alla grotta
arrivò prima Cocir il quale si appostò dietro l’ingresso e tese un agguato a
Marduc ferendolo con una spada. Marduc decise di desistere dall’impresa per non
essere ucciso. Cocir quando si accorse che per entrare nella grotta della gemma
occorreva una corda corse a prenderla . Nel frattempo arrivò Erec che prese
subito la sua corda e si calò nella grotta sottostante. Mentre scendeva arrivò
Cocir che capì subito cosa stava accadendo e decise di tagliare la corda per far
morire Erec mentre scendeva. Erec si accorse che era in pericolo e aprì il
sacco. Uscì una fatina che gli chiese di che cosa avesse bisogno Erec disse di
far presto prima che la corda si tagliava, e la fatina gli buttò su di lui un
po’ di polvere magica e volando come un uccello nel momento preciso che Cocir
tagliava la corda scese giù. Entrò poi in una delle gallerie e cominciò a
cercare la gemma , dopo molto girovagare vide un chiarore e già si stava
dirigendo verso la luce quando apparve Cocir dicendo che se avesse proseguito lo
avrebbe ucciso. Erec decise per il momento di non combattere. Cocir prese la
gemma d’oro ma dalla grotta della gemma si dipartivano dodici gallerie ed ora
Cocir non sapeva più come uscire. Fece alcuni tentativi ma non ci riuscì. Allora
cominciò a chiedere aiuto e riapparve Erec il quale gli disse che lo avrebbe
aiutato se gli avesse dato la gemma. Cocir promise che una volta usciti dalla
grotta gliela avrebbe consegnata. Erec liberò l’uccellino e seguendolo uscirono
dalle gallerie sotterranee. Ma una volta usciti Cocir disse che la gemma era la
sua e che non gliela dava e che se avesse tentato di prenderla lo avrebbe ucciso
ed andò via velocemente sul suo cavallo nero. Erec aprì di nuovo il sacco e
chiese aiuto alla fatina che gli disse che Cocir era molto veloce ma che lo
avrebbe fatto fermare facendo apparire un lago dove si sarebbe fermato per far
bere il cavallo. Cocir infatti visto il lago si fermo e si chinò a bere insieme
al cavallo. Mentre beveva la fatina prese la gemma dalla sua tasca e la dette ad
Erec. Ma Cocir si arrabbiò e sguainando la spada sfidò Erec al combattimento. La
fatina disse a Erec che Cocir aveva la spada detta del cammello perché oltre
alla spada aveva anche un pugnale all’interno del manico ed era molto
pericoloso, poi la fatina consegnò la spada detta del diamante a Erec dicendo
che solo in caso di pericolo avrebbe potuto usare il diamante per accecare con
la sua luce riflessa l’avversario. Iniziò il combattimento e dopo molti scontri
Cocir prese il pugnale dal manico e ferì Erec alla spalla ma Erec prontamente
si voltò e ferì Cocir alla gamba. Allora Cocir prese di nuovo il pugnale e stava
per lanciarlo contro Erec quando Erec ricordandosi del diamante fece riflettere
la luce e accecando Cocir fece sbagliare il lancio del pericoloso pugnale poi
Erec si avvicinò a Cocir e lo ferì di nuovo alla gamba e stava già per dare il
colpo finale quando si fermò dicendo a Cocir che non voleva sporcare la sua
spada con il sangue di un bugiardo. Cocir allora faticosamente montò sul suo
cavallo e se ne andò lontano e non si fece più vedere. Erec ringraziò la fatina,
lasciandola libera, e sul suo cavallo bianco galoppò verso il castello del re.
Giunto a corte consegnò la gemma d’oro al re il quale, come aveva promesso a chi
avrebbe consegnato la gemma d’oro, donò la sua canna d’oro a Erec che da allora
in poi pescò sempre qualsiasi tipo di pesci per mari, fiumi e laghi e non ebbe
più da preoccuparsi per il suo cibo.
L’ALBERO
DI NATALE …
C’era una volta un paese lontano dove non c’erano alberi ma solo neve, una
distesa infinita di neve a perdita d’occhio. In questo paese viveva una
famiglia: un padre, una mamma ed un bambino. Un giorno il bambino chiese al
padre un albero ma il padre gli disse che alberi non c’erano nel loro paese e
che bisognava andare molto lontano per trovare un albero. Il bambino allora si
intristì e si ammalò gravemente. Il dottore visitandolo disse che la sua
malattia non era curabile e che era dovuta alla malinconia e che se non si fosse
provveduto in qualche modo sarebbe potuto morire il bambino. Il padre
preoccupatissimo decise di andare a cercare un albero per il proprio bambino
anche se era periodo invernale ed era difficilissimo viaggiare. Prese la sua
slitta e le sue renne, salutò la moglie ed il bambino e partì. Le renne man mano
che passavano i giorni e la situazione si faceva sempre più critica decisero di
aiutare il disperato padre. Gli dissero che lo avrebbero condotto dai loro amici
gnomi e che loro lo avrebbero potuto aiutare.Gli gnomi vivevano in caverne sotto
la neve ed il muschio. Giunti dagli gnomi gli dissero che lo avrebbero aiutato
ma in cambio anche del suo aiuto. Il padre disse che era disponibile ad aiutarli
purché lo avessero aiutato a trovare l’albero. Quando giunse dagli gnomi era la
vigilia di Natale. Si presentò allora il re degli gnomi e gli disse che gli
avrebbe dato l’albero a condizione che lo avesse aiutato a regalare i doni da
loro preparati per tutti i bambini buoni, e poiché lui era un padre buono che
rischiava la vita per la salute del proprio bambino era adatto per quel lavoro.
Il padre disse che accettava e che una volta portato al proprio bambino l’albero
per farlo guarire sarebbe ritornato. Il re degli gnomi gli consegnò l’albero
dicendo che si chiamava albero di Natale e che perciò era più bello degli altri
ed era pieno di stelle luci e palline dorate. Il padre portò al figlio l’albero
di Natale e subito guarì. Poi ritornò dal re degli gnomi il quale toccò le renne
e la carrozza con il suo bastone magico e divenne una carrozza dorata piene di
stelle con renne volanti, poi quando lui salì sulla carrozza il suo vestito
divento rosso con i bordi bianchi e gli crebbe unna grande barba bianca ed anche
i capelli divennero bianchi come la neve. Gli gnomi gli dissero di non disperare
perché con una tale carrozza in una sola notte avrebbe potuto portare i regali
preparati da loro ed ora riposti nel fondo della carrozza a tutti i bambini
buoni del mondo. La notte passò e tutto si svolse secondo il previsto. Quando
tornò gli chiesero il piacere di aiutarli ogni anno a dare i regali ed egli
accettò. Per ricompensa il re degli gnomi gli disse che sarebbe vissuto in
eterno e che sempre avrebbe portato i regali a tutti i bambini buoni del mondo
compreso il suo bambino. E così da allora nacque la leggenda di Babbo Natale e
dei regali sotto l’albero di Natale.
IL PALLONE GIGANTE …
C’era una volta un pallone gigante che era divenuto così grande perché prima di
gonfiarlo al suo interno era caduto del lievito e questo aveva fatto crescere
enormemente il pallone, in maniera tale da divenire più grande di un grande
albero. Però nel paese dove era cresciuto tutti i bambini giocavano con i
palloni più piccoli e nessuno giocava con lui. Un giorno decise di andarsene,
triste per essere abbandonato dai bambini e, calatosi nelle acque del fiume si
fece portare lontano.
Dopo un po’ di tempo giunse al paese un uomo cattivo che odiava i bambini che
giocavano a pallone e con il suo coltello bucò tutti i palloni del paese. I
bambini si misero a piangere ma l’uomo cattivo disse che se avessero aggiustato
i palloni li avrebbe fatti a pezzettini con il suo coltello.
Allora i bambini decisero di cercare aiuto ma in paese nessuno li volle aiutare.
Allora un gruppo di bambini decise di andare a cercare aiuto fuori dal paese.
Camminarono per giorni e giorni poi arrivarono al fiume, costruirono una zattera
e si lasciarono trascinare dalla corrente del fiume.
Quando ormai avevano perso le speranze di trovare aiuto incontrarono il pallone
gigante e gli raccontarono la loro storia. Il pallone gigante, dispiaciuto,
disse loro che li avrebbe aiutato e che dovevano tornare al loro paese e dire
all’uomo cattivo che un pallone sarebbe venuto a sfidarlo sotto la grande
quercia. L’uomo cattivo si affrettò con il suo coltello a recarsi alla grande
quercia pensando di risolvere subito e facilmente la sfida. Ma, quando vide il
pallone gigante iniziò a tremare per la paura. Il pallone gigante gli chiese più
volte se era lui il cattivo con il coltello che aveva bucato tutti i palloni dei
bambini ma, per la paura , non riuscì a parlare. Allora il pallone gigante
ancora più arrabbiato gli disse che il proverbio dice : chi tace acconsente, e
così con un solo salto il pallone gigante schiacciò l’uomo cattivo con il suo
coltello. Tutti i bambini applaudirono il pallone gigante, ma il pallone
gigante subito si allontanò dal paese. I bambini gli corsero dietro, lo
raggiunsero, lo fermarono e gli chiesero di restare con loro perché era buono e
loro avrebbero giocato sempre con lui e gli altri palloni, una volta aggiustati.
E fu così che il pallone gigante rimase nel suo paese e fu molto amato dai
bambini.
L’ARANCIA
D’ORO
C’era una volta, in un paese lontano un bambino che viveva da
solo. Nessun altro bambino del villaggio voleva giocare con lui perché era
povero e non aveva giocattoli. Un giorno tornando dal bosco trovo un’arancia
d’oro; subito corse al centro del villaggio e chiamo tutti i bambini per far
vedere la sua arancia. Quando la videro rimasero meravigliati chiedendosi perché
proprio al bambino più povero fosse capitata questa fortuna. Invidiosi i bambini
del villaggio decisero che la notte stessa sarebbero andati a rubare l’arancia
d’oro. Intanto il bambino povero che si chiamava Peppino
tornò nella sua capanna
e cominciò a preparare la cena. Ad un tratto sentì una voce che gli diceva:
“Peppin’ ! Peppin’ !scappa perché vogliono rubarti l’arancia”. Peppino si girò
intorno ma non vide nessuno, ma mentre preparava la sua cena sentì di nuovo:
“Peppin’ ! Peppin’ !scappa, scappa…sono io, l’arancia d’oro che ti parla…tra
poco ci sarà un’alluvione! e i bambini non faranno in tempo a rubarti l’arancia
e moriranno!”.Peppino volse lo sguardo verso l’arancia d’oro e disse:”non posso
fuggire , devo salvarli, anche se tenteranno di rubare l’arancia d’oro!”.
Peppino tornò al villaggio , avvisò tutti gli altri bambini del pericolo e
fuggirono insieme. Dopo la fine dell’alluvione, tutti i bambini con le loro
famiglie acclamarono Peppino dicendogli che nessuno avrebbe più preso la sua
arancia d’oro perché era stato molto buono a non fuggire da solo. Da allora
Peppino giocò sempre con tutti i bambini del villaggio e nessuno toccò mai la
sua arancia
d’oro.
LAMPADINA
JACK …
C’era una volta un inventore di nome Lampadina Jack e viveva in un paese dove
tutti lo prendevano per pazzo e per una persona molto strana . Nel paese nessuno
lo considerava e nessuno si fermava a parlare con lui. D’altra parte Lampadina
Jack camminava sempre immerso nei suoi pensieri pensando alle sue invenzioni e
distratto come era non salutava nessuno.
Un
giorno un grave pericolo nacque per il suo paese. Una nuvola scura nera e
cattiva faceva cadere molta pioggia sul lago al di sopra del paese, sui monti,
minacciando una grande alluvione. Tutti dal paese decisero di fuggire perché il
pericolo era davvero molto grande. Lampadina Jack saputo anche lui del pericolo
disse che non sarebbe andato via dal suo paese e dal suo laboratorio e che
avrebbe risolto il problema con una sua invenzione. Ma le persone del paese non
lo ascoltarono e andarono via . Ma mentre da solo cominciò a pensare a cosa
inventare giunsero da lui cento bambini dicendo che anche loro non avrebbero mai
lasciato il loro paese e i loro giocattoli. Intanto il livello dell'acqua del
lago aumentava sempre di più e stava per arrivare agli argini. C’era poco tempo
e occorreva trovare una soluzione. Finalmente lampadina jack si ricordo del
mulino a vento grande che aveva costruito e pensò di mettere un motore di elica
di nave grande sotto il mulino . ai bambini dissi di andare a prendere molti
bidoni di benzina per far funzionare il motore e far muovere le pale del mulino
con grande velocità in modo da far creare un turbine d’aria e cosi con il
vortice far allontanare la nuvola dal lago in modo da far smettere di piovere.
L’invenzione riuscì i bambini portarono molta benzina ed il vento trascino
lontano la nuvola cattiva . allora tutti ritornarono in paese ringraziarono
lampadina jack ed i bambini e furono tutti felici e contenti. Lampadina jack
mise poi un grande rubinetto al lato del lago e lo collegò con un tubo all’acqua
in modo da poter sempre innaffiare tutte le piante del paese quando occorreva.
QUELLO CHE HAI DETTO IERI A COSO…
C’era una volta in un paese lontano un bambino Piscator che non poteva dire i
nomi delle persone perché una maga cattiva gli aveva fatto un sortilegio…Un
giorno giunse al paese un cavaliere cattivo di nome Kracatoa .Come il bambino
vide il cavaliere corse ad avvisare i suoi amici del pericolo ma non riusciva a
pronunciare il nome. Allora Piscator, poiché non era creduto, si mise a
piangere e la fatina del bosco lo vide e si commosse e allora lo chiamo:”
Piscator corri alla grande quercia ed io con la mia polvere magica ti farò
ridire i nomi delle persone”. Il bambino velocemente fece come gli disse la fata
e liberato dal sortilegio benché in pericolo tornò in paese ed avvisò di nuovo
dell’arrivo del terribile Kracator. Gli amici meravigliati perché era riuscito a
pronunciare il nome del cavaliere cattivo subito costruirono una trappola
scavando un fosso profondo e nascondendolo con delle canne e delle foglie.
Kracator cadde nel fosso ,il paese fu salvo e tutti festeggiarono Piscator che
li aveva salvati.
FUOCO ACQUA ED ERBE…
C’era una volta un fuoco grande che fuoriusciva da un grande vulcano ,una
distesa d’acqua grande come il mare e una moltitudine di erbe che si trovavano
in un grande bosco. Un giorno il fuoco del vulcano raggiunse il mare e l’acqua
cominciò a bollire creando con le erbe del bosco una gigantesca pozione magica.
Dal miscuglio meraviglioso nacque la grande balena gialla ,l’unico pesce gigante
che nuota ancora oggi nell’acqua che bolle con le erbe.
UN PAIO DI SCARPE DI GINNASTICA …
C’era una volta un negozio che aveva un solo paio di scarpe di ginnastica di
nome Alexander. Un giorno dieci bambini entrarono nel negozio e tutti chiesero
un paio di scarpe da ginnastica, ma purtroppo c’era solo un paio. I bambini
cominciarono a litigare per decidere chi si doveva prendere quelle scarpe.
Allora il negoziante disse che il paio di scarpe sarebbe stato di chi se lo
meritava, e cioè di chi sarebbe arrivato per prime in città a portare alla
vecchietta vicino alla Chiesa la cosa più bella. Subito i bambini corsero
velocissimi tranne uno che era più lento e non sapeva correre. I nove bambini
veloci mentre correvano passarono per casa e presero a volo un oggetto da potare
alla vecchietta: chi un piatto, chi una stoffa, chi un giocattolo, ecc.. Il
bambino che era più lento si fermò invece a casa per preparare un buon
pasticcino alla vecchietta e arrivò dopo tre ore. Quello che era arrivato per
primo andò subito dal negoziante insieme agli altri reclamando le scarpe ma il
negoziante disse che bisognava aspettare il giudizio della vecchietta. La
vecchietta quando vide che l’ultimo arrivato aveva fatto tardi per poterle
preparare un buon pasticcino caldo senza preoccuparsi di perdere la gara disse
che il più buono era stato l’ultimo arrivato e che lui quindi aveva vinto la
gara. Gli altri bambini capirono allora che avevano perso perché erano stati
egoisti pensando solo a vincere e non a portare una buona cosa alla vecchietta.
Così il bambino Alexander che aveva fatto ultimo alla corsa ma il primo per
bontà vinse la gara e le scarpe di ginnastica .
" Larga è la foglia , stretta è la
via , dite la vostra che ho detto la mia ... "
FONTE : Le Fiabe della
Montagna , e-book di Carlo Sarno del 2001 , pubblicato sul sito Artcurel .
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