I Dieci Comandamenti e l'arte cristiana
di Carlo Sarno
INTRODUZIONE
La relazione tra i Dieci Comandamenti e l'arte cristiana è segnata storicamente da una tensione tra il divieto biblico delle immagini e la loro funzione educativa e devozionale.
1. Il superamento del divieto delle immagini
Il secondo comandamento (secondo il computo ebraico e protestante, parte del primo per i cattolici) proibisce esplicitamente di fare "scultura o immagine alcuna" per scopi di adorazione.
Aniconismo iniziale: I primi cristiani ereditarono dall'ebraismo una certa diffidenza verso le immagini per evitare l'idolatria pagana.
La svolta dell'Incarnazione: La teologia cristiana ha giustificato l'arte sacra sostenendo che, poiché Dio si è fatto uomo in Gesù, egli è diventato "visibile" e quindi rappresentabile. Questo ha permesso il passaggio dal puro simbolismo (come il pesce o l'ancora) a una ricca iconografia figurativa.
2. L'arte come "Biblia Pauperum"
Poiché per secoli gran parte della popolazione era analfabeta, l'arte è stata utilizzata come strumento per insegnare i contenuti biblici, inclusi i Dieci Comandamenti.
Funzione didattica: Affreschi, mosaici e sculture servivano a illustrare i precetti morali e gli episodi della storia della salvezza, rendendo visibile la legge divina.
Rappresentazione iconografica: Mosè che riceve le tavole della Legge sul Monte Sinai è un tema ricorrente che simboleggia l'origine divina del Decalogo e l'alleanza tra Dio e l'uomo.
3. Differenze tra confessioni
Il modo in cui i Dieci Comandamenti influenzano l'arte varia a seconda della tradizione:
Cattolicesimo e Ortodossia: L'immagine è venerata come un "ponte" verso il divino, non come un idolo in sé.
Protestantesimo: In alcune correnti (come il calvinismo), l'interpretazione rigorosa del divieto ha portato a forme di iconoclastia o a una preferenza per chiese spoglie, dove la parola scritta prevale sull'immagine.
RELAZIONE TEOLOGICA TRA I DIECI COMANDAMENTI E L'ARTE CRISTIANA
L'approfondimento teologico sulla relazione tra i Dieci Comandamenti e l'arte cristiana ruota attorno al paradosso tra l'invisibilità di Dio e la sua manifestazione storica in Gesù Cristo.
1. La "svolta" dell'Incarnazione
Mentre il divieto dell'Antico Testamento (Esodo 20,4-6) mirava a preservare la trascendenza assoluta di Dio contro i tentativi umani di "imprigionarlo" in forme manipolabili (idolatria), il cristianesimo introduce una novità radicale: l'Incarnazione.
Gesù come Immagine: San Paolo definisce Cristo «immagine (eikon) del Dio invisibile» (Colossesi 1,15). Poiché Dio si è reso visibile assumendo un volto umano, la teologia cristiana sostiene che rappresentare Cristo non è violare il comandamento, ma confessare la verità della sua natura umana e divina.
Giovanni Damasceno: Questo teologo fu fondamentale nel sostenere che, sebbene Dio sia invisibile per natura, è diventato visibile per amore; negare la liceità delle immagini equivarrebbe a negare la realtà dell'Incarnazione.
2. Il Concilio di Nicea II (787)
Il dibattito culminò nel Concilio di Nicea II, che pose fine alla controversia iconoclasta. Il Concilio stabilì una distinzione teologica cruciale per rispettare il primo comandamento:
Latria (Adorazione): Riservata esclusivamente a Dio.
Dulia (Venerazione): Un onore relativo rivolto alle immagini dei santi o di Cristo, che non si ferma all'oggetto materiale (legno o colore), ma passa al "prototipo" rappresentato.
3. Funzione Anagogica dell'Immagine
L'arte non è solo un ornamento o una "Bibbia per analfabeti", ma ha una funzione anagogica (dal greco "elevare"):
L'immagine funge da mediatore sensibile che aiuta la mente limitata dell'uomo a elevarsi verso le realtà invisibili.
Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 2132), il culto cristiano delle immagini non è contrario al primo comandamento, poiché l'onore reso a un'immagine appartiene a chi vi è rappresentato.
4. La differente esegesi protestante
A differenza della tradizione cattolica e ortodossa, la Riforma protestante (specialmente calvinista) ha spesso mantenuto un'interpretazione più rigida del divieto veterotestamentario. Questo ha portato alla rimozione delle immagini dalle chiese per timore che la bellezza estetica potesse distrarre dalla centralità della Parola di Dio e degenerare in superstizione.
TEOLOGIA SIMBOLICA
La teologia simbolica funge da cardine per conciliare l'arte cristiana con i Dieci Comandamenti, trasformando l'immagine da potenziale idolo a veicolo di verità spirituale.
1. Il simbolo come superamento dell'idolatria
Mentre il primo comandamento proibisce la creazione di "idoli" (oggetti che pretendono di essere la divinità stessa), la teologia simbolica definisce l'immagine sacra come un mezzo di comunicazione.
Differenza tra Idolo e Simbolo: L'idolo "ferma" lo sguardo su di sé; il simbolo (dal greco symballo, "mettere insieme") collega il piano sensibile a quello invisibile.
Mediazione, non Adorazione: L'onore reso all'immagine non si ferma al materiale (legno, colore), ma passa al "prototipo" (Dio o i Santi). Questo principio teologico permette di onorare i comandamenti senza rinunciare alla bellezza visiva.
2. Il ruolo dell'Incarnazione
La teologia simbolica trae la sua forza dal mistero dell'Incarnazione: se Dio si è fatto visibile in Cristo, l'immagine diventa una "Parola visibile".
Cristo come Icona: Poiché Cristo è l'immagine perfetta del Dio invisibile, l'arte cristiana non crea "nuovi dei", ma riflette l'unica rivelazione permessa.
L'icona come Sacramentale: Nella tradizione cristiana, l'immagine è vista come un "canale di grazia" che favorisce l'incontro con il Padre, rispettando il divieto di non divinizzare ciò che non è Dio.
3. Funzione Pedagogica e Anagogica
L'uso dei simboli nell'arte risponde anche alla necessità di educare i fedeli ai precetti del Decalogo:
Comunicazione delle Verità: I simboli (come la mano destra per indicare l'azione di Dio o la croce per la fede) aiutano a interiorizzare verità religiose complesse.
Elevazione (Anagogia): La teologia simbolica utilizza la bellezza estetica per elevare la mente dall'ordine materiale a quello spirituale, guidando l'uomo verso l'osservanza dei doveri essenziali verso Dio e il prossimo contenuti nei comandamenti.
La teologia simbolica approfondisce il legame tra arte e Dieci Comandamenti trasformando la rappresentazione visiva da potenziale trasgressione in uno strumento di elevazione spirituale.
Questa relazione si articola su tre pilastri teologici fondamentali:
1. La "Dissimiglianza" e l'Apofatismo (Pseudo-Dionigi)
Secondo la teologia di Pseudo-Dionigi l'Areopagita, Dio è ineffabile e trascende ogni immagine. La teologia simbolica utilizza immagini "dissimili" (simboli che non pretendono di essere una copia esatta di Dio) proprio per onorare il comando di non farsi idoli.
Idolo vs Simbolo: L'idolo pretende di contenere o sostituire Dio; il simbolo cristiano, invece, dichiara la propria inadeguatezza e rimanda oltre se stesso, preservando la trascendenza divina richiesta dal primo comandamento.
2. Il Simbolo come "Finestra" (Anagogia)
L'arte cristiana non è intesa come semplice decorazione, ma come un percorso anagogico (dal basso verso l'alto):
Mediazione sensibile: Poiché l'uomo non può contemplare direttamente l'essenza di Dio, la teologia simbolica usa i sensi (immagini, colori, luce) come gradini per elevare la mente alla realtà spirituale.
Venerazione non Adorazione: Questa distinzione teologica permette di onorare il Decalogo: si "venera" il simbolo come segno del sacro (dulia), mentre l' "adorazione" (latria) resta riservata unicamente a Dio.
3. L'Incarnazione come "Legittimazione" del Simbolo
Il fondamento ultimo che risolve la tensione con il divieto veterotestamentario è l'Incarnazione di Cristo:
Il Volto visibile di Dio: Poiché in Gesù il "Verbo si è fatto carne", Dio stesso ha scelto di manifestarsi attraverso un simbolo umano e materiale.
La Nuova Alleanza: La teologia simbolica legge l'arte non come una violazione della legge di Mosè, ma come una sua pienezza: l'immagine non nasconde più Dio dietro un idolo, ma lo rivela attraverso il volto di Cristo, l' "icona" perfetta.
In sintesi, la teologia simbolica permette all'arte di essere un atto di culto che rispetta lo spirito dei Dieci Comandamenti, usando la bellezza materiale per educare il fedele a cercare l'Invisibile.
TEOLOGIA DELLA VISIONE
La teologia della visione costituisce il fondamento teorico che permette di superare l'apparente contraddizione tra il divieto delle immagini dei Dieci Comandamenti e la ricchezza dell'arte cristiana.
Questa relazione si sviluppa attraverso i seguenti punti chiave:
1. Dalla visione proibita alla visione incarnata
Il primo comandamento proibisce di fare immagini di Dio perché, nell'Antico Testamento, Dio è considerato invisibile per natura.
La svolta: La teologia della visione cambia radicalmente con l'Incarnazione. Se in passato "nessuno ha mai visto Dio", ora Gesù afferma: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9).
Legittimazione dell'arte: L'arte cristiana non viola il comandamento perché non pretende di ritrarre l'essenza invisibile di Dio Padre, ma la sua visibilità storica in Cristo.
2. L'immagine come "Visione Trasfigurata"
Nella teologia orientale e bizantina, l'icona non è un semplice ritratto, ma una visione del mondo della gloria di Dio.
Trasformazione del mondo: Il compito dell'arte sacra è trasformare la realtà materiale in "visione spirituale", indirizzando la mente del fedele verso l'Assoluto.
Finestra sull'eterno: L'immagine sacra funge da "finestra" che permette una visione mistica, superando il concetto di idolo (che ferma la visione) per diventare un veicolo che eleva lo sguardo verso Dio.
3. La visione come esperienza di fede
La teologia della visione suggerisce che il "vedere" cristiano è un atto di fede che coinvolge tutti i sensi per comprendere il soprannaturale.
Oltre il divieto: Il primo comandamento mette in guardia dall'idolatria (adorare l'oggetto). La teologia della visione risponde sottolineando che l'arte cristiana invita a una venerazione relativa: l'occhio vede l'immagine, ma la mente contempla il "prototipo" celeste.
Funzione distruttiva degli idoli: Paradossalmente, le immagini cristiane autentiche (come il Crocifisso) servono a distruggere i falsi idoli mentali che l'uomo si crea su Dio, riportando la visione alla realtà della misericordia divina.
In sintesi, mentre i Dieci Comandamenti proteggono la trascendenza di Dio vietando l'idolo, la teologia della visione celebra la sua immanenza attraverso l'arte, intesa come una via pulchritudinis (via della bellezza) che conduce l'uomo alla visione beatifica.
ESTETICA CRISTIANA
L'estetica cristiana non è una semplice teoria del "bello", ma una teologia della visibilità che giustifica e orienta l'arte alla luce dei Dieci Comandamenti. Il rapporto si gioca sulla trasformazione del concetto di immagine: da potenziale "idolo" (vietato) a "riflesso della Gloria" (permesso).
Ecco i cardini di questa relazione:
1. La Bellezza come Attributo Divino (Via Pulchritudinis)
L'estetica cristiana supera il divieto veterotestamentario identificando Dio come la "Bellezza somma".
Superamento dell'idolo: Se il primo comandamento proibisce l'idolo (una bellezza falsa che imprigiona Dio in una forma), l'estetica cristiana propone l'arte come Via Pulchritudinis (via della bellezza). L'opera d'arte non è l'oggetto dell'adorazione, ma un segno che rimanda alla bellezza infinita del Creatore.
Trasparenza: Un'estetica corretta rende l'opera "trasparente": il fedele non guarda l'opera, ma guarda attraverso l'opera verso Dio.
2. L'Estetica della "Forma Christi"
Il divieto di rappresentazione viene riletto esteticamente attraverso il corpo di Cristo.
Il corpo come canone: Poiché Dio ha assunto una forma umana, l'estetica cristiana eleva la materia (colori, marmi, legno) a dignità spirituale. Rappresentare il corpo di Cristo non è violare il comandamento, ma celebrare il "volto" che Dio ha voluto darsi.
Verità vs Apparenza: L'estetica cristiana si distingue da quella pagana perché non cerca la perfezione fisica fine a se stessa, ma la capacità di esprimere la verità interiore e la santità, evitando così il rischio di cadere nell'idolatria del bello puramente estetico.
3. Funzione Etica e Doxologica
L'estetica cristiana lega il Bello (arte) al Bene (morale dei comandamenti).
Arte come lode (Doxologia): L'arte è concepita come un atto di culto. Se il comandamento dice di "non nominare il nome di Dio invano", l'estetica cristiana impone che l'arte non sia vana o profana, ma serva a glorificare Dio e a istruire il prossimo.
Educazione al Decalogo: L'estetica sacra ha spesso il compito di rendere "attrattiva" la vita virtuosa. Attraverso il fascino dei simboli e delle storie dei santi, l'arte educa i sensi all'osservanza dei comandamenti, mostrando la bellezza di una vita vissuta secondo la Legge di Dio.
4. Il Limite della Rappresentazione
L'estetica cristiana mantiene un profondo rispetto per il mistero (apofatismo).
Non esaurire il Divino: Un'estetica consapevole dei comandamenti sa che nessuna immagine può contenere Dio. Per questo, l'arte cristiana autentica conserva sempre un elemento di "incompiutezza" o di simbolismo che impedisce di confondere la rappresentazione con la realtà divina, proteggendo il fedele dal peccato di idolatria.
ARTISTA CRISTIANO
Il rapporto tra l'artista cristiano e i Dieci Comandamenti non riguarda solo il contenuto delle opere, ma l'essenza stessa del suo "fare arte", trasformando il precetto morale in un'etica della creazione.
1. L'artista come collaboratore, non come idolo
Il primo comandamento («Non avrai altro Dio fuori di me») definisce la gerarchia del lavoro dell'artista.
Contro l'auto-idolatria: L'artista cristiano è chiamato a non fare della propria arte o della propria fama un idolo. Come sottolineato nella Lettera agli Artisti di Giovanni Paolo II, egli riconosce il proprio talento come un "dono" e non come un possesso assoluto.
Ministero del Bello: L'artista non "crea" dal nulla (prerogativa divina), ma "plasma" la materia esistente. Il suo ruolo è quello di un mediatore che rispetta la sovranità di Dio, evitando di sostituire il Creatore con la propria opera.
2. Etica della responsabilità e il Decalogo
L'attività dell'artista è intrinsecamente legata alla testimonianza dei comandamenti che riguardano il prossimo:
Servizio alla Verità (Ottavo Comandamento): L'artista ha il dovere morale di non "dire falsa testimonianza" attraverso l'arte. L'estetica cristiana esige che l'opera non sia menzognera o puramente seduttiva, ma che rifletta la Verità del Vangelo.
Custodia della Purezza (Sesto e Nono Comandamento): L'artista cristiano è chiamato a rappresentare la dignità del corpo umano senza ridurlo a oggetto di concupiscenza, celebrando la bellezza come riflesso della santità divina anziché come stimolo al peccato.
3. La "Sacra Scrittura" visibile
L'artista agisce come un esegeta che traduce i comandamenti in immagini per il popolo di Dio.
Funzione Catechetica: Realizzando cicli pittorici o scultorei sul Decalogo, l'artista aiuta i fedeli a visualizzare e interiorizzare la Legge. In questo senso, il suo lavoro diventa una forma di predicazione silenziosa che rende "attrattiva" l'obbedienza a Dio.
Il rispetto del Nome (Secondo Comandamento): L'artista cristiano evita l'uso vano o blasfemo delle immagini sacre. Ogni pennellata o colpo di scalpello su un soggetto divino è inteso come un atto di preghiera e di venerazione, onorando il Nome di Dio attraverso la forma e il colore.
4. L'Arte come cammino di conversione
Per l'artista cristiano, la relazione con i comandamenti è un percorso personale. L'opera d'arte diventa il luogo in cui la lotta spirituale dell'uomo (il rispetto della Legge) incontra la grazia. L'arte non è solo un prodotto esterno, ma un riflesso della vita interiore dell'autore: un'arte che nasce dall'osservanza dei comandamenti è un'arte che trasmette pace, ordine e speranza.
In sintesi, l'artista cristiano vive i Dieci Comandamenti non come vincoli alla propria libertà espressiva, ma come argini che rendono fecondo il proprio talento, garantendo che la bellezza prodotta sia sempre orientata alla gloria di Dio e al bene degli uomini.
LA LETTERA AGLI ARTISTI DI PAPA GIOVANNI PAOLO II
La Lettera agli Artisti di Giovanni Paolo II (1999) approfondisce la relazione con i Dieci Comandamenti superando la visione del divieto come limite, per interpretarlo invece come una tutela del mistero e una chiamata alla responsabilità etica dell'artista.
Il Papa articola questo rapporto attraverso tre passaggi teologici chiave:
1. Dalla "proibizione" alla "rivelazione"
Giovanni Paolo II riconosce che il divieto veterotestamentario (primo comandamento) mirava a impedire la riduzione di Dio a un oggetto manipolabile (idolo).
L'Incarnazione come svolta: Nella lettera, spiega che l'Incarnazione di Cristo ha cambiato radicalmente il senso del comandamento. Poiché Dio si è reso visibile in Gesù, l'arte è diventata lo strumento per "dare visibilità" all'invisibile, trasformando l'immagine da divieto a necessità per la fede.
2. L'artista come "creatore" a immagine di Dio
Il Papa stabilisce un parallelo tra il comando di "non farsi idoli" e la vocazione dell'uomo come immagine di Dio (Genesi 1,27).
Responsabilità morale: L'artista non deve creare idoli per gloria vana o profitto personale, ma deve usare il proprio talento come un servizio al bene comune. In questo senso, l'etica artistica riflette l'osservanza del Decalogo: non si può separare la bellezza dell'opera dalla rettitudine morale di chi la crea.
3. La Bellezza come "Epifania" del Trascendente
La lettera definisce gli artisti "geniali costruttori di bellezza".
Oltre l'idolatria: Giovanni Paolo II sottolinea che la vera arte cristiana rispetta lo spirito dei comandamenti perché non pretende di "esaurire" il divino in un'immagine, ma la propone come una epifania (manifestazione) che rimanda sempre a un "oltre" infinito.
Funzione anagogica: L'arte autentica serve a elevare l'animo dal mondo dei sensi all'eterno, svolgendo quella funzione di educazione spirituale che è alla base della Legge divina.
Per Giovanni Paolo II, l'arte non viola i Dieci Comandamenti se rimane fedele alla propria missione: non sostituirsi a Dio, ma essere un ponte che conduce l'umanità verso la Bellezza suprema.
GESU', I DIECI COMANDAMENTI E L'ARTE CRISTIANA
Il rapporto tra Gesù e la relazione tra arte e Dieci Comandamenti rappresenta la chiave di volta che ha permesso al cristianesimo di passare dall'aniconismo (divieto di immagini) alla fioritura artistica. Gesù non è solo il soggetto dell'arte, ma la giustificazione teologica della sua esistenza.
1. Gesù come "Immagine del Dio invisibile"
Il primo comandamento proibisce di raffigurare Dio perché Egli è spirito e trascendenza pura. Tuttavia, con l'Incarnazione, questa barriera viene infranta.
La prova visiva: San Paolo definisce Cristo «immagine (eikon) del Dio invisibile» (Colossesi 1,15). Poiché in Gesù Dio si è dato un volto, un corpo e una storia, rappresentarlo non significa più violare il comandamento, ma confessare che Dio si è fatto uomo.
Superamento dell'idolo: L'arte cristiana non crea un "falso dio" (idolo), ma ritrae Colui che è realmente apparso nel tempo e nello spazio. Come affermato nel Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 2131), l'economia cristiana delle immagini si fonda sul mistero del Verbo incarnato.
2. Gesù come "Esegeta" della Legge
Gesù non ha abolito i Dieci Comandamenti, ma li ha portati a compimento (Matteo 5,17). Questo ha un impatto diretto sull'arte:
Dalla Lettera allo Spirito: L'arte cristiana non si limita a illustrare le tavole della Legge in modo rigido, ma mostra Gesù che le vive. Ad esempio, le rappresentazioni di Gesù che guarisce di sabato o che perdona l'adultera insegnano visivamente che il "fine della Legge è l'amore".
La Bellezza della Verità: L'estetica di Gesù (la sua vita, la sua passione e risurrezione) diventa il nuovo canone dell'arte. L'artista cristiano non cerca una bellezza ideale greca, ma la bellezza della verità rivelata da Cristo, che include anche lo "scandalo" della Croce.
3. La partecipazione dell'uomo alla natura divina
Attraverso Gesù, l'uomo è reintegrato come "immagine di Dio". Questo permette all'arte di rappresentare non solo Cristo, ma anche i Santi.
Riflessi della Luce: Poiché i santi sono conformi a Cristo, le loro immagini nell'arte non violano il divieto di idolatria, ma celebrano la vittoria di Dio nell'umanità. L'arte diventa così una "estensione" dell'Incarnazione attraverso i secoli.
4. La missione dell'arte nel nome di Gesù
L'artista cristiano opera "nel nome di Gesù", rispettando il secondo comandamento (non nominare il nome di Dio invano).
Lode visibile: L'opera d'arte è intesa come una forma di doxologia (lode). Gesù è il mediatore che trasforma l'opera umana in un atto di culto gradito al Padre. In questo modo, l'arte diventa un ponte sacramentale che, partendo dal visibile (l'immagine di Gesù), conduce all'Invisibile (il Padre).
In sintesi, Gesù è la ragione per cui l'arte cristiana è possibile. Senza di Lui, il divieto dei Dieci Comandamenti rimarrebbe assoluto; con Lui, l'immagine diventa una via privilegiata per incontrare Dio e comprendere la Sua Legge d'amore.
ALCUNI ESEMPI
1. ESEMPIO
Un esempio magistrale che sintetizza il rapporto tra Gesù, i Dieci Comandamenti e l'arte cristiana è il ciclo di affreschi della Cappella Sistina (pareti laterali), realizzati prima del Giudizio Universale di Michelangelo (1481-1482).
Nello specifico, il confronto tra le "Prove di Mosè" (Sandro Botticelli) e le "Prove di Cristo" (Sandro Botticelli) illustra visivamente come Gesù sia la chiave per interpretare la Legge.
Nello specifico, il confronto tra le "Prove di Mosè" (Sandro Botticelli) e le "Prove di Cristo" (Sandro Botticelli) illustra visivamente come Gesù sia la chiave per interpretare la Legge.
La Corrispondenza (Tipologia)
Sulle pareti della Sistina, le storie di Mosè (il portatore del Decalogo) sono poste di fronte alle storie di Cristo. Questo schema artistico serve a dimostrare che:
Mosè riceve i Comandamenti come legge esterna, incisa sulla pietra.
Gesù incarna i Comandamenti nella sua carne e li trasforma in legge di carità.
Sulle pareti della Sistina, le storie di Mosè (il portatore del Decalogo) sono poste di fronte alle storie di Cristo. Questo schema artistico serve a dimostrare che:
Mosè riceve i Comandamenti come legge esterna, incisa sulla pietra.
Gesù incarna i Comandamenti nella sua carne e li trasforma in legge di carità.
Il superamento del divieto delle immagini
Nell'affresco della Consegna delle Tavole della Legge (Cosimo Rosselli), si vede Mosè che scende dal Sinai e trova il popolo in adorazione del Vitello d'Oro.
L'Idolo (Antico Testamento): L'arte qui rappresenta l'idolo come una falsa immagine che imprigiona l'uomo e viola il primo comandamento. L'idolo è statico, muto, una creazione umana che sostituisce Dio.
L'Immagine di Cristo (Nuovo Testamento): Di fronte, negli affreschi sulla vita di Gesù, Egli è rappresentato come l' "Icona vivente". Gesù non è un oggetto d'oro fabbricato dall'uomo, ma una persona che agisce, guarisce e parla. L'artista cristiano (Botticelli, Perugino, Rosselli) rappresenta Cristo non per creare un idolo, ma per mostrare Dio che "si è fatto volto".
2. ESEMPIO
L'Idolo (Antico Testamento): L'arte qui rappresenta l'idolo come una falsa immagine che imprigiona l'uomo e viola il primo comandamento. L'idolo è statico, muto, una creazione umana che sostituisce Dio.
L'Immagine di Cristo (Nuovo Testamento): Di fronte, negli affreschi sulla vita di Gesù, Egli è rappresentato come l' "Icona vivente". Gesù non è un oggetto d'oro fabbricato dall'uomo, ma una persona che agisce, guarisce e parla. L'artista cristiano (Botticelli, Perugino, Rosselli) rappresenta Cristo non per creare un idolo, ma per mostrare Dio che "si è fatto volto".
2. ESEMPIO
Un altro esempio potente è la Trasfigurazione di Raffaello Sanzio (Musei Vaticani):
Relazione con la Legge: Accanto a Gesù compaiono Mosè (la Legge) ed Elia (i Profeti).
Teologia della Visione: L'arte qui visualizza il momento in cui i sensi umani dei discepoli vengono "elevati" per vedere la gloria divina.
Il Comandamento compiuto: Il comando "Ascoltatelo!" che giunge dalla nube giustifica l'arte cristiana: non guardiamo più una statua di metallo (il vitello), ma guardiamo il volto di Cristo, che è la via sicura per non cadere nell'idolatria pur usando i sensi.
In questi capolavori, l'artista non si limita a decorare, ma compie un atto teologico: usa il colore e la forma per dire che il Decalogo non è più un limite che impedisce di vedere Dio, ma un sentiero che, attraverso l'immagine di Gesù, ci permette di contemplarne la Bellezza.
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